Chi ha paura della profilazione

Hai presente quando, aprendo i tuoi social o semplicemente andando su Google, ti ritrovi banner e pubblicità dell’oggetto che avevi cercato qualche giorno prima o con cui discutevi con i tuoi amici?

Bene, questa cosa qui ha un nome: profilazione.

Gli annunci pubblicitari che ci appaiono online sono sempre più accurati, tarati sui nostri interessi e su ciò che vorremmo acquistare, al punto da indurre alcune persone a credere che ci siano applicazioni per smartphone che ascoltano continuamente le conversazioni a loro insaputa, in modo da offrire pubblicità sempre più personalizzate.

 

 

È una teoria che ha avuto successo soprattutto tra chi non si fida di alcune delle più grandi aziende di Internet come Facebook, che del resto in questi anni ha avuto grossi problemi con la tutela della privacy dei propri utenti, attirandosi critiche e finendo in mezzo a scandali.

 

 

In realtà, come è stato dimostrato in più occasioni, Facebook e gli altri non hanno necessità di spiare ciò che diciamo, perché hanno già a disposizione sufficienti altre risorse per tracciare le nostre attività online in ogni momento. Un motivo che non è necessariamente più rassicurante, per chi è diffidente verso questo aspetto della tecnologia.

Le società che si occupano della pubblicità online sfruttano informazioni molto più semplici e accessibili per tarare gli annunci sui nostri interessi, sfruttando per lo più dati che noi stessi forniamo loro più o meno inconsapevolmente.

Strumenti di tracciamento ormai sofisticati permettono a Facebook o a Google di individuare i nostri interessi anche quando non li abbiamo mai cercati sui social network o sui motori di ricerca, sfruttando dati relativi ai nostri spostamenti, alle nostre abitudini, addirittura alle nostre frequentazioni.

Tecnicamente tutte queste informazioni sono anonime e le piattaforme sostengono di non avere modo di risalire alle identità dei singoli utenti, ma è stato ormai ampiamente dimostrato che la grande mole di dati raccolti consente di farsi un’idea piuttosto precisa sui possessori di device.

Aggiornamento iOS 14.5

Il 26 aprile 2021 Apple ha rilasciato iOS 14.5 e iPadOS 14.5, aggiornamenti di metà carriera della versione 14 dei suoi sistemi operativi per iPhone e iPad.

Tutti gli utenti che li hanno scaricati e installati hanno notato subito un’importante novità: la prima volta che hanno aperto un’app il sistema operativo ha mostrato loro un avviso relativo alla privacy, che chiede loro se vogliono accettare o rifiutare la profilazione.

Questo perché, a partire da iOS e iPadOS 14.5, è entrata in vigore la nuova politica di Apple sul tracciamento degli utenti per fini pubblicitari.

Questa novità molto importante per utenti e sviluppatori si chiama Trasparenza Tracciamento App e consiste in una tecnologia di blocco della profilazione degli utenti.

Quindi questo significa niente più pubblicità per sempre?

Assolutamente no. Anzi, il numero di banner e pubblicità su social e siti sarà identico.

A cambiare sarà il fatto che non saranno più “in target”.

In breve: stesso numero di banner pubblicitari, negli stessi posti e con la stessa frequenza, ma senza tenere traccia degli interessi e delle intenzioni di acquisto.

Ma almeno la privacy sarà sicura al 100%?

Assolutamente no.

Quello che è sicuro, invece, è che la nuova policy di Apple ha scontentato la maggior parte degli sviluppatori di app. Soprattutto uno: Facebook.

La privacy degli utenti sarà, infatti, solo un minimo più tutelata, ma i ricavi degli sviluppatori delle app saranno minori perché avranno informazioni meno pregiate da vendere ai circuiti pubblicitari.

 

IDFA

La modifica introdotta da Apple con iOS 14.5 riguarda il tracciamento del cosiddetto IDFA: Identifier for Advertising.

Cioè il codice identificativo unico di ogni account Apple che, se viene tracciato, permette alle app di “seguire” l’utente e associare i suoi comportamenti a un numero facilmente identificabile.

In parole povere, l’IDFA permette di profilare finemente l’utente in modo anonimo: come accennato prima, l’app non può sapere nome e cognome del possessore di un IDFA, ma può sapere tutto di lui, dei suoi gusti e delle sue abitudini. Senza l’IDFA tutte queste informazioni possono essere raccolte, ma non aggregate in un profilo unico.

Per questo motivo tracciare l’IDFA è fondamentale per chi sviluppa app per iOS gratuite o a basso prezzo: è la principale forma di monetizzazione dell’app, che profila l’utente e poi vende le informazioni ai circuiti pubblicitari al fine di inviare all’utente profilato una pubblicità estremamente personalizzata e quindi efficace.

Se l’utente rifiuta di farsi tracciare, nega il trasferimento delle informazioni raccolte all’identificativo pubblicitario.

Questo significa anche che, passando da una app all’altra, non sarà possibile trasferire in modo efficace le informazioni raccolte.

L’utente può modificare, agendo manualmente sulle impostazioni del sistema operativo, la scelta effettuata ma è assai poco probabile che gli utenti accettino il tracciamento e ancor meno probabile che dopo averlo rifiutato cambino idea.

Quasi tutte le app per i device di Apple effettuano il tracciamento dell’IDFA per aumentare i ricavi. Tra queste app ci sono anche quelle di Facebook, Instagram, WhatsApp che sono anche tra le app più usate al mondo.

Facebook ha criticato apertamente la scelta tecnica di Apple, arrivando a comprare una pagina del The Washington Post per dire a tutti che questa scelta danneggia le piccole aziende di tutto il mondo.

Mark Zuckerberg ha chiesto ai suoi manager della divisione pubblicitaria di controllare quante campagne di piccole e medie imprese, già programmate, saranno bloccate dal nuovo protocollo sulla privacy voluto da Tim Cook.

Secondo questa indagine ci sono in ballo 25mila campagne pubblicitarie a livello globale, che potrebbero non vedere la luce.

Un danno per creator ed editori

I ricavi pubblicitari di Facebook sono in continuo aumento: nel primo trimestre hanno registrato un incremento del 48% e hanno raggiunto quota 26,1 miliardi di dollari, cifra ben al di sopra delle previsioni.

Secondo Facebook, questa iniziativa “taglia fuori dal mercato della pubblicità le piccole aziende, favorendo solo i grandi gruppi”. Il vicepresidente di Facebook per l’area pubblicitaria, Dan Levyha scritto: “Sebbene sia difficile quantificare l’impatto sui creatori di contenuti e sugli editori, nei test che abbiamo condotto il calo risulterebbe superiore al 50%”.

Facebook e Instagram a pagamento?

Su iPhone e iPad, fanno capolino messaggi che insinuano la possibilità che Facebook e Instagram possano “diventare a pagamento”.

Questi avvisi in-app suonano come un avvertimento di Zuckerberg agli utenti Apple che rifiutano di farsi profilare: “Help keep Facebook free of charge”, “aiutaci a mantenere gratuiti i nostri servizi”. In altre parole: se volete avere Facebook senza pagare, come è stato finora, dateci una mano e abilitate il vostro tracciamento e profilazione, bypassando l’Att.

Posizioni opposte

L’interpretazione di Facebook della Att è che non sia una questione di privacy, bensì di soldi.

“Poiché le vendite di hardware di Apple tenderanno a rallentare, l’azienda deve concentrarsi sul business dei servizi. Con questi cambiamenti Apple può trarre un profitto ancora maggiore dalla sua attività di servizi. Se i creatori di contenuti devono adottare altre modalità per fare soldi – al di fuori della pubblicità – gli utenti si troveranno a pagare una sorta di tassa-Apple che oscilla dal 15 al 30%”.

La visione di Apple è ovviamente all’opposto. Craig Federighi, vice presidente senior del software Apple, dice che “quando il monitoraggio invasivo è il tuo modello di business, tendi a non accogliere la trasparenza e la libertà di scelta del cliente”.

La profilazione non è il male

Per concludere.

Il 96% degli utenti negli USA e l’88% nel resto del mondo (ricerca a campione) ha negato il consenso al monitoraggio delle app di terze parti, con l’aggiornamento di IOS14.

Le persone sono davvero consapevoli della scelta fatta?

Chi si occupa di GDPR conosce perfettamente la fatica che fanno le aziende ad accettare il fatto che il consenso al trattamento dei dati sia nelle mani degli utenti, come se questo fosse un pericolo, così come questo forte rifiuto alla profilazione da parte degli utenti stessi.

Questo “clima” fa pensare che oggi le leggi sulla privacy siano l’appiglio per portare avanti la guerra tra la concezione tradizionale del venditore che manipolava per imporre l’acquisto e il cliente.

Ancora si pensa che la profilazione sia manipolazione.

Eppure, quando una persona sportiva che ha negato il consenso sarà tempestata di pubblicità sui giochini per bambini invece che dei manubri da cambiare, capirà che la profilazione forse non è poi così male.

La pubblicità ci sarà sempre, perché solo in questo modo possono sostentarsi le piattaforme web che la ospitano, ma sarà più fastidiosa perché fuori target.

La profilazione non è la microspia nascosta sotto il materasso.

Tutti acquistiamo e tutti siamo venditori.

Sarebbe il caso di smetterla di vedere le aziende come nostre nemiche e di utilizzare il diritto al consenso, che ci è stato giustamente offerto dal GDPR per essere consapevoli dei nostri dati e non per fare la guerra al marketing.

Che tu sia azienda, professionista, sappi che esistono modi etici per fare pubblicità nel modo corretto.

Basta affidarsi a professionisti.

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