Oggi la content strategy è diventata di vitale importanza per le aziende, che la utilizzano nelle proprie strategie di web marketing insieme allo storytelling e alla gestione della community: content strategy, storytelling e community, a cui fa riferimento la comunicazione sia esterna che interna, rappresentano i tre elementi fondamentali su cui puntano le aziende.
Su cosa deve basarsi una content strategy aziendale per generare engagement?
Per realizzare un content di qualità è necessario partire da un aspetto fondamentale: l’identità dell’azienda o del brand: è proprio la brand identity che comunica ai vari stakeholder chi è l’azienda, quali sono i valori condivisi su cui si basano le radici profonde su cui essa è stata costruita.
Chi vuole lavorare sul content deve basarsi prima di tutto sull’identità, ovvero la mission dell’azienda e la sua promessa unica rispetto ai competitor, la quale andrà poi a interagire con le promesse veicolate dal brand e, infine, a detrminare la reputation.
Quali elementi devono caratterizzare il content?
- Trasparenza;
- Autenticità;
- Umanizzazione dei contenuti;
- Rapporto peer to peer;
- Onestà intellettuale;
- Passione;
- Il sapere mettersi in gioco e accettare anche il fallimento, il quale deve essere visto come indicazione utile per rivedere e reindirizzare le attività.
Perché la content strategy è fondamentale?
Fino a qualche anno fa i concorrenti erano pochi; ora invece l’arena competitiva è molto affollata: bisogna quindi prestare particolare attenzione al content perchè altrimenti sarà proprio l’audience ad estromettere l’azienda dal mercato.
E’ necessario che chi si occupa della content strategy proceda a personalizzare ed umanizzare il content.
Una fase preliminare molto utile per realizzare una content strategy di successo consiste nel dedicare una particolare attenzione all’attività di listening o ascolto della propria target audience: il brand, in questo caso, può allora essere considerato come l’insieme delle conversazioni, relative ad esso, realizzate tra i vari stakeholder.
Una case history di successo è rappresentata da quanto accaduto all’interno della squadra di calcio del Real Madrid: il Real Madrid aveva deciso di realizzare un’attività di social listening ed aveva notato che in Indonesia era presente una notevole percentuale di tifosi particolarmente appassionati: la società ha deciso quindi di aprire dei presidi e realizzare delle partnership con squadre di calcio e community di quel Paese.
Come le community hanno un reale impatto a livello di azienda?
Un’azienda è costituita da un insieme di persone, esperte ciascuna in una determinata attività: lo scopo dell’azienda deve diventare quello (oltre ai naturali obiettivi di business) di creare una community composta da brand advocate, i quali naturalmente sono invogliati a produrre dei contenuti, spinti in parte dai brand ambassador e in parte dal forte senso di appartenenza all’azienda. Per realizzare questo obiettivo è sicuramente necessario svolgere del training sui dipendenti, senza però forzarli: è quindi un processo che si svolge nel medio-lungo periodo, senza attendersi dei risultati dall’oggi al domani.
Come si genera engagement attraverso la content strategy?
Bisogna innanzitutto puntare sulla qualità dei contenuti: la grande sfida è catturare l’attenzione dell’audience e trattenerla attraverso la produzione di contenuti di valore;è necessario andare allora alla ricerca di talenti che sappiano apportare questo contributo e far lievitare la reputation dell’azienda, l’immagine nei confronti dei vari stakeholder ed il suo valore.
Se si vuole attirare delle persone verso un determinato prodotto, è necessario agire sulle passioni: in questo caso, la content strategy potrà raccontare loro delle storie attraverso lo storytelling e agire per portare la target audience a far parte anche di altre community correlate dal comune denominatore qual è la passione: per esempio, all’interno dell’azienda si forma una community di persone tifose della Juventus; a sua volta, all’interno di questa community ci saranno persone appassionate della saga di Star Wars e altre anche di basket: ecco allora che si realizza una moltiplicazione di community e dei legami stretti tra di loro.
Di fronte ad un numero elevato di community, per capire a quali community ci si vuole rivolgere è necessario, come detto precedentemente, partire dall’ascolto, dall’attività di listening: più l’azienda verticalizza le proprie comunicazioni, maggiori saranno le probabilità di successo; se l’azienda non si muove in questa direzione, ovvero quella della verticalizzazione, è come se si muovesse nel buio.
Di notevole importanza è anche la comunicazione interna: per esempio, nel caso di Eni, che ha 40.000 dipendenti sparsi in tutto il mondo, essa è fondamentale! Se non si è in grado di convincere i propri colleghi della bontà dell’operato dell’azienda e dei suoi prodotti, tanto più difficile sarà farlo nei confronti dei consumatori, proprio perché i dipendenti sono i primi ambassador dell’azienda.
Nel caso venisse attuata una content strategy sbagliata, come deve essere gestito l’errore, il fallimento?
Innanzitutto, prima di decidere su quale piattaforma o social andare a comunicare, l’azienda deve capire a quale pubblico si vuole rivolgere, quale linguaggio e tone of voice utilizzare senza perdere la propria identità e i valori connaturati ad essa (per esempio, se l’azienda sceglie di comunicare via LinkedIn adotterà un linguaggio di tipo professionale, non certo lo slang utilizzato da un rapper!).
Quali altri aspetti deve considerare la content strategy?
La content strategy deve basarsi anche sulla “teoria delle 3 H” che sono:
- Hero: si tratta di un blockbuster content che cattura l’attenzione;
- Hub: content da pubblicare tutti i giorni per mostrare al pubblico che si è attivi e per mantenere la propria identità;
- Help: consiste in un tipo di content che deve essere pubblicato per rispondere a delle domande, a delle esigenze dei vari stakeholder, a seconda delle richieste.
Per quanto riguarda la gestione dell’errore e del fallimento di una content strategy, la tipica mentalità italiana consiste nel non far trapelare all’esterno l’accaduto; è necessario invece adottare l’approccio opposto ovvero premiare una strategia basata sul trial and error, pur non protraendolo all’infinito relativamente ad un certo aspetto o prodotto: si tratta di un approccio e di una cultura empirica che si deve fonddere con la progettualità tipicamente italiana.
Qual è il vantaggio di questo approccio? Il vantaggio principale consiste nel saper cambiare traiettoria in corso d’opera pur mantenendo ben saldo l’obiettivo.
Un ulteriore passaggio che l’azienda deve compiere nella produzione della content strategy consiste nella disintermediazione della comunicazione: saranno i colleghi che racconteranno liberamente le proprie esperienze legate all’azienda! Questo però può avere anche un rovescio della medaglia nel caso in cui si verificassero degli eventi negativi: è recentemente accaduto che un ex dipendente della Goldman Sachs aveva fatto pubblicare, su un autorevole quotidiano finanziario, delle dichiarazioni relative a comportamenti non corretti da parte dell’azienda, scatenando un vero e proprio putiferio, con un ritorno d’immagine ed una reputation altamente negativi per l’azienda in questione, causando anche delle notevoli perdite in Borsa. E’ palese che l’azienda abbia gestito malissimo questo fatto: sarebbe bastato che tutti gli altri dipendenti avessero dichiarato che quella non era la condotta tipica dell’azienda; ciò avrebbe determinato un recupero di immagine e di reputation più veritiero e, conseguentemente, più efficace.
Le imprese più internazionalizzate, come nel caso di ENI, hanno una cultura condivisa della veridicità basata proprio sull’ascolto di ciò che dicono i propri dipendenti. In Italia questo processo è ancora in stato embrionale, dato che la prassi consolidata nel Paese consiste nel comunicare sempre che tutto va bene anche se in realtà questo non corrisponde alla situazione reale.
Per portare avanti un processo di disintermediazione della comunicazione, bisogna considerare che nell’arena ci sono quattro player: i social network; i media tradizionali e digitali; le persone; le aziende.
Attualmente la disintermediazione è un processo che viene portato avanti solo nelle grandi aziende affinchè agiscano ed utilizzino un approccio tipico delle media company senza però modificare il loro core business: in Eni, per esempio, la funzione comunicazione guarda a come agisce e si comporta Netflix, quali decisioni assume anche se però questo non vuol dire diventare dei competitor di Netflix bensì attingere a delle prassi e a delle procedure aziendali che si sono rivelate di successo.
Ognuno può imparare a lavorare come una media company, grazie ai vantaggi apportati dal digital, il quale ha reso tutto più semplice: i mezzi sono ora alla portata di tutti!
Questo non significa che, all’interno di un’azienda, verranno create delle redazioni strutturate o che sarà instaurata internamente una media company, si andranno però a cercare dei talenti in grado di raccontare, realizzare content strategy, fare storytelling, utilizzare i social anche per la comunicazione interna ed esterna, ecc…, questo perché ogni persona può agire come una media company, per esempio tenendo un blog oppure facendo live tweeting di un evento.
Due case history di successo: ENI ed il Sole 24 Ore
Caso “Sole 24 Ore”: il 5 giugno 2018 è stato lanciato il nuovo formato della versione cartacea del Sole24Ore che, basandosi su elementi quali la selezione delle notizie, la qualità del content, la capacità di sintesi, saranno poi fondamentali per rivedere anche il format on-line. Per quanto riguarda il sito, si tratterà di rivedere il content affinché venga prodotto e veicolato del content esclusivo. Questo lavoro di restyling, non solo del layout ma soprattutto del content, richiederà:
- Una migliore qualità (non bisogna perdere tempo a realizzare content dal taglio medio, ma si tratterà di lavorare sull’originalità);
- Nuovi prodotti digital attraverso la creazione di un team di visual lab oltre a utilizzare nuovamente l’email marketing automation, sotto forma di newsletter, anche per fare offerte più profilate alle aziende partner).
L’obiettivo è quello di arrivare a realizzare un sito a pagamento, con abbonamento only digital, basato su un content esclusivo, presentato in chiave più moderna e pensato per il mobile, da cui sappiamo passare la maggior parte del traffico web.
Caso EniDay: si racconta la storia dell’azienda, i prodotti, il mondo dell’energia in modo accattivante, realizzando un punto di rottura attraverso la creazione di una piattaforma di storytelling che si sta evolvendo in story doing. Il punto di rottura è anche rappresentato dal fatto che, considerata un’attenzione sempre più parcellizzata, il numero elevato delle piattaforme, la necessità di aumentare la vita del content, è stato utilizzato un approccio in cui il content non deve essere pensato solo per EniDay ma deve diventare virale, basandosi sul visual e su contenuti multimediali, dato che sono quelli che generano maggior engagement. Lo scopo finale è quello di coinvolgere tutte le aree dell’azienda affinché producano content utile a redigere un piano editoriale di successo. Per esempio, in Basilicata, dove Eni porta avanti delle attività, l’azienda si rivolge esclusivamente alle persone del luogo per spiegare loro cosa l’azienda sta facendo. Qual è lo scopo reale?
Quello di migliorare la reputation aziendale attraverso un content basato sull’attenzione alle persone direttamente coinvolte nell’area in cui si svolge una specifica attività.
Attenzione! E’ fondamentale capire quanto la content strategy dell’azienda influisca positivamente sulla reputation verso ogni categoria di stakeholder, per migliorarla costantemente nel tempo attraverso dei continui upgrading.