Ebbene sì, torniamo a parlare di AI. O meglio, lo facciamo anche noi perché non possiamo esimerci dal farlo, dal momento in cui è un evento epocale, che non si può ignorare.
Non parleremo di ChatGPT, o meglio, lo faremo in senso lato, analizzando il cambiamento che è intercorso tra diverse tipologie di approccio al mondo del web in generale, e ai motori di ricerca in particolare.
Domande e affermazioni
Pensaci un attimo. Dal vecchio “blog di MSN” fino a Facebook, passando dai cari vecchi forum, ci è sempre stato chiesto qualcosa.
“Che cosa vuoi condividere?” – My Space
“Che cosa stai pensando?” – Facebook
“Che succede?” – Twitter
solo per fare qualche esempio.
Una volta, su internet, le domande erano più in voga.
Pian piano, però, con il passare del tempo, le CTA (call-to-action, o inviti all’azione) sono diventate sempre più simili a imperativi: “Condividi”, “Commenta”, “Carica”, “Metti mi piace”.
Adesso usciamo dal mondo dei social e dedichiamoci un attimo ai motori di ricerca. Esatto, anche loro hanno smesso di fare e chiedere interrogativi.
In quanti cercherebbero su Google: “Quali sono i migliori stabilimenti balneari in Sicilia?” e in quanti, invece, digiterebbero sulla barra di ricerca un netto “migliori stabilimenti mare Sicilia”?
Già, sono molti di più quelli che utilizzano la seconda modalità.
Questo perché la formula interrogativa risulta(va?) ormai inutile, superata, ridondante.
L’obiettivo dei motori di ricerca rimane sempre lo stesso: fornirci risultati in linea con le nostre richieste, ma lo raggiunge in modo diverso, bypassando la necessità di chiedere.
Basta, infatti, un nostro input grezzo (qualche parola chiave scollegata, più che una vera e propria query), per tutto il resto ci sono dati e algoritmi.
Questo processo ha reso più assertivo il nostro rapporto con la tecnologia (“Alexa, metti Spotify”), abituandoci più a dare ordini che a chiedere.
Algoritmi, social ed eCommerce, in fondo, sanno già cosa vogliamo: le loro interfacce sono costruite per interpretare i segnali, non per ascoltarci davvero.
Fare domande ci espone a dei rischi, ci rende vulnerabili. Non farle, al contrario, è un meccanismo istintivo di protezione.
Ok, ma che cosa c’entra l’AI?
L’ascesa delle AI conversazionali può rappresentare un ritorno al passato quanto mai positivo.
In che senso?
Rispetto agli altri servizi le AI non sanno cosa vogliamo, almeno finché non le interroghiamo.
Come lo facciamo?
Con delle domande! Più sono articolate e precise le richieste, migliori saranno i risultati che ci fornirà l’AI. Questo vale per i testi quanto per le immagini.
Le loro interfacce a chat ci ‘costringono’ a formulare il nostro pensiero sotto forma di domanda, e quindi a organizzare diversamente i nostri pensieri, a ragionare in profondità non solo su quale informazione vogliamo ottenere, ma sul perché la stiamo cercando.
Fare domande ragionate può quindi stimolare maggiormente la nostra curiosità e la nostra creatività, aiutandoci a rinunciare agli imperativi.
Che l’internet dialogico del futuro sia meglio dell’internet categorico di oggi?
Speriamo di sì.